3 - nido di ragno
Quando Carnivale aprì gli occhi, tutto si sarebbe aspettato tranne che di trovarsi di fronte un enorme ragno a due teste. Un urlo gli si bloccò in gola e si strozzò con la sua stessa saliva, indietreggiando di colpo. E sbatté inevitabilmente la nuca contro il legno del letto. Tossendo.
Grugnì, toccandosi quello che sarebbe stato un nuovo livido. Nel farlo notò due cose: la prima, e più importante, non indossava più quell'odioso collare. Qualcuno glielo aveva tolto? Era stato lo stesso demone che l'aveva salvato? E come c'era riuscito? L'avevano anche lavato?
“Se si sono presi la briga di pulirmi, potevano almeno darmi dei cazzo di vestiti!” si lamentò.
La seconda, era che si trovava in un'elegante camera d'altri tempi. Cercò di rimettersi dritto, guardandosi intorno e sentendosi osservato dai dipinti appesi alle pareti. L'aracnide si era allontanato, concedendogli un po' di respiro.
Non era insolito trovare all'Inferno creature tanto ripugnanti, ma di norma avevano più o meno la sua stessa stazza, non erano alte quanto un carro armato. Si rimise in piedi, pregando che le bende che adornavano le sue belle gambe non fossero state messe dal mostro che lo aveva ridestato e che ora lo stava palesemente aspettando. Il ragno si era seduto, non osava girarsi nella sua direzione nemmeno per sbaglio e si puliva le tremende zampe marroni con la lingua.
Una colossale, schifosa, lunga e viscida lingua.
Carnivale tremò. Indietreggiò ancora. Colpì il letto.
Accarezzò cautamente le coperte vellutate, poi ritirò in fretta la mano, nauseato. Quella seta pregiata altro non era che una ragnatela, quindi probabilmente opera di quel gigantesco... Coso!
«...» avrebbe voluto urlare, ma aveva la bocca bloccata, congelata, impastata.
Dopo qualche minuto, Carnivale decise finalmente di avanzare nella stanza. Lo fece lentamente, cercando di non riaprirsi le ferite. Da quello che riusciva a vedere, il ragno bloccava l'unica via di fuga.
“Non ho scelta, eh?”
Quando finalmente cominciò a muoversi nella sua direzione, il mostro si rimise immediatamente dritto e Carnivale ebbe la conferma che sì, lo stava aspettando.
Il demone procedette con cautela. Ignorò le grandi cornici d'oro, tanto lucenti da riflettere alla perfezione il suo volto impaurito. Il soffitto era così alto che non ne vedeva la fine.
Dei fili bianchi gli facevano compagnia, sparsi lungo il muro, spiaccicati, appesi come cappi, e brillavano, quasi avessero vita propria. Formavano dei disegni articolati, costellazioni sensate, come se a tessere quelle gigantesche ragnatele fosse stata una mente intelligente.
Carnivale scosse vistosamente il capo di fronte a una tale idiozia: era risaputo che i demoni-insetto fossero stupidi. L'unica cosa che li muoveva era una fame nera e cieca. Oltre all'istinto di distruggere e la malsana voglia di annientare qualsiasi cosa sul loro cammino, solamente per poter soddisfare la propria gola. Per questo li si vedeva gironzolare nelle zone di quest'ultima.
“Tra idioti ci si intende, del resto, no?”
E così iniziò la sua passeggiata verso l'ignoto, scortato da una macabra e mostruosa guardia a due teste.
Il demone, perso nei suoi pensieri, camminò per quelle che gli sembrarono ore, a qualche metro di distanza dal ragno, senza fare alcuna deviazione, nonostante il corridoio cominciasse ad assumere una forma labirintica, dividendosi in più di un bivio e restringendosi in alcuni punti.
Sentiva che quel coso l'avrebbe condotto verso l'uscita e seguirlo era sempre meglio che rimanere in quel giaciglio, circondato da inquietanti quadri di volti sconosciuti. O girare a vuoto e rischiare di perdersi. O, anche peggio, di imbattersi in mostruosità meno gentili e propense ad attaccarlo.
Dopo ancora qualche tempo, il demone si convinse di aver ragione: nonostante le apparenze non si trovava affatto in un castello o una magione, bensì in un enorme dedalo articolato. Cambiavano spesso strada, ora svoltavano a destra, poi a sinistra, ma non si era mai trovato di fronte a una singola porta. Solamente mille corridoi, che si dividevano e dividevano e dividevano... All'infinito.
Sembrava di stare all'interno di una mastodontica ragnatela.
Quella dove si era svegliato e che aveva creduto una camera, altri non era che un vicolo cieco.
Ogni volta che muoveva un passo e colpiva il parquet, il colpo rimbombava e si estendeva, echeggiava, lo stordiva. Non aveva mai visto un posto tanto assurdo.
E intanto le pareti si stringevano, i quadri aumentavano di numero e in lontananza avvertiva uno strano rumore. Era come se migliaia di bocche stessero masticando all'unisono. Carnivale cercò di non pensarci, altrimenti sarebbe rimasto pietrificato e non si sarebbe più mosso per la paura.
Lui era troppo orgoglioso per soccombere a un simile, viscerale, sentimento.
Quando l'aracnide finalmente si fermò, Carnivale credette di star avendo un'allucinazione. Camminavano da quanto? Ore? Settimane? Non lo sapeva davvero, quell'orribilante labirinto gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo.
Veloce più di un lampo, il ragno si voltò all'improvviso e Carnivale pensò di essere spacciato. L'aveva seguito perché certo che non l'avrebbe toccato, visto che si era limitato a svegliarlo, ma ora che si trovava di fronte a quattro paia di occhi rosso sangue, quella convinzione era già venuta meno.
Perché aveva creduto che l'avesse addirittura curato? Quell'orribile creatura!
Il cuore quasi gli schizzò fuori dal petto. Strinse le palpebre e si accucciò quando l'aracnide alzò una zampa. Probabilmente l'avrebbe colpito, forse l'avrebbe addirittura schiacciato, in ogni caso doveva assicurarsi di proteggere la pancia e gli organi vitali.
Contro ogni sua aspettativa, però, non avvenne alcuno scontro. Il ragno si limitò a raggirarlo, arrampicandosi lungo il muro e poi perfino sul soffitto pur di sorpassarlo. E quando Carnivale alzò il capo, per poterlo osservare, con terrore si rese conto delle migliaia di iridi scarlatte che lo fissavano dall'alto. Incandescenti.
Un brivido freddo gli corse lungo la spina dorsale, ma non ebbe nemmeno il tempo di cedere al panico. Una mano ghiacciata gli si posò sulla spalla.
«Buongiorno.» lo salutò il rettile che lo aveva liberato. Fu in quel momento che i ricordi di ciò che aveva passato nei due mesi successivi presero il sopravvento e Carnivale si ritirò, scacciando gli artigli di quel serpente con una manata.
Gli ringhiò contro, muovendo la coda piumata. Si assicurò che le ali fossero bene aperte per mostrargli che no, non aveva alcuna intenzione di essergli amico.
«Davvero? Mi ripaghi così dopo che ti aiutato?» ridacchiò l'altro. Non sembrava affatto dispiaciuto, al contrario si muoveva sinuoso, volteggiando nelle vesti, tanto trasparenti che lasciavano poco spazio all'immaginazione.
«Tu stai con quella stronza!» sbottò Carnivale, per poi sbarrare gli occhi, toccarsi la gola. Riusciva a parlare?
«Sì, Catherine è una mia cara amica.» annuì.
«Comunque il mio nome è Sun-»
«No, non è vero.» lo interruppe.
«Ti ho sentito, alle rovine.» ancora non riusciva a credere di essere davvero in grado di sostenere una conversazione. Pareva quasi un sogno.
«Voglio sapere chi sto per sgozzare, dimmi quello vero.» ghignò, mostrando le fauci, i denti aguzzi.
Ma prima che potesse fare qualcosa, si ritrovò immobilizzato, impigliato in mille ragnatele piovute dall'alto. Non importava quanto si muovesse e scalciasse, era incollato, manovrato come uno stupido pupazzetto.
«Fanculo, non sono la tua fottuta marionetta!» gridò, tentando di staccare i fili che gli tenevano fermi i polsi. Cominciò anche a sbattere le ali, ma presto quelle fecero la fine dei suoi arti: legate, spremute. Le sue belle piume finirono a decorare il tappeto o bloccate in aria, seguendo la ragnatela.
Sun lo approcciò senza alcuna cautela, né delicatezza. Lo prese per il mento, si avvicinò al suo viso.
«Tu sei debole, sai?» gli chiese e Carnivale digrinò i denti. Ciò che gli dava più fastidio era il tono che aveva usato: non era derisorio, né provocatorio, tutt'altro, la sua aveva tutta l'aria di essere una semplice e sincera affermazione. Il demone inclinò il capo, Carnivale avvertì il suo respiro caldo infiammargli le guance.
«Posso darti la forza che tanto agogni, se lo desideri.» mormorò.
«No!» aggrottò le sopracciglia. L'orgoglio gli impediva di accettare quella proposta.
«Uccidimi e basta.»
«Sicuro? Sarebbe un peccato.» gli accarezzò una gota, lo graffiò con gli artigli. Carnivale percepì un rivolo di sangue bagnargli il muso, scendere lungo il collo.
«Sei come il carbonio, mio caro.» continuò.
«Potrei spezzarti come la più insignificante delle matite, moriresti come della stupida grafite e mi dimenticherei di te. Catherine non se la prenderebbe nemmeno troppo, so come gestirla.» continuava a sussurrargli nell'orecchio e Carnivale si ritrovò completamente perso in quelle parole, quasi lo stesse lentamente annegando, privandolo del respiro.
«Oppure potrei smussare i tuoi angoli, modellarti, trasformarti e farti diventare il più brillante dei diamanti.» ridacchiò.
«Adorarti, perfino.»
Carnivale cercò nel suo sguardo una traccia di esitazione, qualcosa che gli comunicasse che stesse mentendo, ma non trovò nulla. Solamente dei laghi ghiacciati, azzurrissimi, e un'accecante determinazione.
«Poi quando sarai al massimo delle forze, se vorrai...» continuò, sfiorargli il petto, accarezzandogli le piume «...potremmo provare a ucciderci a vicenda.» lo tentò.
«Ci stai?»
“Perché?” pensò Carnivale. “Cosa cazzo ha in mente questo psicopatico? Non posso accettare! Non posso!”
Eppure, benché quella fosse palesemente una pessima idea, ingoiò l'orgoglio e si ritrovò ad annuire. Le ragnatele scivolarono lungo il suo corpo nudo, accarezzandogli la pelle rossastra, e presto fu a terra, piegato in ginocchio come una puttana. La mano che l'aveva già salvato una volta rientrò nel suo campo visivo. E lui l'afferrò, lesto come una lepre. Cazzo, se lo fece. E strinse, osservando Sun con odio.
Quello era un patto suicida con il diavolo e solo uno di loro ne sarebbe uscito vivo.
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